“L’arte viandante, il tempo, il ritorno”
Beatrice Mastrorilli
“Ma tu, dimmi ancora e parla sincero:
dove sei stato errando, a quali paesi sei giunto
d’esseri umani…..”
Omero, Odissea, Canto VIII
L’arte di Martina Dalla Stella è figlia del cammino, del viaggio ma anche del
“Nostos”, del ritorno che per gli antichi coincideva con il termine di una lunga
peripezia che segnava nel profondo chi l’aveva esperita, così il senso del viaggio
per l’artista è un’esperienza sapienziale attraverso la quale portare con sè ciò che
ha visto e vissuto e lo traduce attraverso il colore spesso materico, corposo ed
energico altre volte chiaro, sottile, diluito tanto da far apparire i suoi soggetti quasi
astratti.
La sua pittura è fatta di istanti cromatici che danno vita sullo spazio della tela
momenti di riflessione intessuti col ricordo, sia esso memoria privata e familiare
oppure memoria d’attualità stringente e sociale o ancora attimi di natura
conosciuta, vicina, poetica e sospesa, intrecciati con testi poetici tanto da farsi
specchio analitico del sé.
Si aprono così varchi che svelano mondi e luoghi veduti oppure umani aspetti di
cronaca come i migranti avvolti nei sudari in “Ancora” del 2014, approdo doloroso
di un viaggio verso una speranza mai raggiunta.
Ci sono poi i volti femminili quelli delle madri di Gaza, delle donne e delle bambine
del sud America, del Nepal, gli occhi grandi di Samia, la discrezione pudica di Tina
sono omaggi meditati e mai retorici, emergenti dal colore, pulsanti d’energia ma
rappresentati con delicata ed accurata sensibilità di comunanza umana e
femminile che è condivisione dell’essere donna e del sapersi confrontare con l’altro
da sè per raggiungere una simpatetica corrispondenza antropica.
Nelle opere di Martina come nel bagaglio di ogni esperto viandante oltre al
desiderio della scoperta dell’altro, alla meraviglia destata dalla conoscenza della
diversità, quale elemento di spaesamento e nello stesso tempo di confronto e
arricchimento, c’è anche il ritorno e soprattutto la consapevolezza ben salda delle
proprie radici, che sono elemento fondamentale per potersi allontanare e per
percepire a pieno la libertà del viaggio, avendo completa cognizione da dove si
parte.
Le radici di Martina sono spesso presenti nei suoi lavori nell’immagine delle mani
nodose come rizomi secolari, in “Una Vita” mani narranti di sapienza e lavoro, di
tradizioni e di fatica; le radici poi sanno anche farsi reminiscenza nella scena
conviviale di “Come in un ricordo…(a mio nonno)” quasi un’immagine fotografica
color seppia, un frammento memoriale ed in parallelo in un’altro omaggio, questa
volta alla nonna, dove il legame stretto del ricordo e dell’affetto sembra
manifestarsi attraverso il sottile filo rosso che percorre lo spazio della stanza
intrecciandosi ai ferri del lavoro a maglia.
Ancora nell’immaginario dell’artista una presenza importante è quella della natura
e dei suoi elementi: l’acqua che appare sulla tela come pioggia in cerchi netti, come
goccia il cui eco è nel colore caduto sulla tela, acqua che scivola via dalle mani,
metafora del tempo che scorre, o che può diventare mare materico tra onde e
schizzi percolanti sui quali sta sospesa una piccola figura, nell’opera “In
Sospensione” del 2011, che è quasi un’ombra, un segno scuro che anela all’infinito
attaccato ad una precarietà filiforme.
Accanto all’acqua trova spazio l’aria ed il vento rappresentata nel volo delle rondini
in cieli percorsi da scie cromatiche intrecciate di giallo, di blu e rosso, come in
“Rondini” del 2013, nei panni stesi al sole ritratto del desiderio di una libertà
dell’anima che viene più volte ribadita e anelata attraverso segni e parole, oppure
nell’ attesa dei migratori allineati sul filo in “Aspettando per migrare…(anche io
così)” del 2006, immersi in un azzurro acceso dove l’aspirazione al viaggio torna di
nuovo a farsi vivo.
Proprio le parole, quelle della poesia, entrano spesso in dialogo con la pittura che
ne diviene espressione visiva. Sovente legata alla natura della sua terra vicentina,
immortalata nel trascorrere delle stagioni quando il vento accarezza i soffioni tra
fili d’erba dai toni di smeraldo o la neve è una coltre materica e spessa
nell’intercalare silenzioso degli alberi grigi, che si fanno presenze espressioniste tra
le irradiazioni azzurre. Così il paesaggio diventa spazio dialogico tra natura e
poesia, quella di Enio Sartori, poeta locale e docente di letteratura molto
apprezzato, ma anche Pablo Neruda, quando la natura si fa lussureggiante e
appassionata evocazione di terre lontane in “Nosotros los de entonces…” 2012 o
ancora è la voce del poeta afgano Jalaluddin Rumi ad accompagnare il colore
liquido del cielo che scende come il vento a scompaginare un campo d’erba alta in
“Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo, ti aspetterò laggiù” del 2014.
L’arte di Martina Dalla Stella è fatta di percorsi, dunque, di itinerari reali che si
uniscono ed amplificano attraverso quelli interiori, percorsi di vita che si snodano
nello spazio mantenendo saldi legami con il ritmico fluire del tempo. L’esperienza
dell’erranza diventa talento della narrazione, la superficie della tela lo spazio
naturale su cui tessere la trama del racconto.