“Cammini. I confini della memoria”
Teresa Lucia Cicciarella
Fin dove giungerà la memoria? I passi dell’uomo migrante, con la loro desolata cadenza, sapranno risuonare
nel frastuono delle vite di noi altri, così distanti dalle loro vicende, dalla tragedia collettiva che sembra non avere
fine? Se lo chiede Martina Dalla Stella, nel percorso che si dipana attraverso venti dipinti che sono al tempo
stesso espressione e testimonianza, affermazione etica e invito alla solidarietà, a un sentire comune che, nelle
sagome in apparenza indistinte dei troppi costretti al viaggio, vuol richiamare in luce l’unicità e il valore
dell’essere umano.
Cinque i temi in mostra che, dagli scorci delle vallate e delle montagne amate dall’artista, mossi da una natura
in continuo divenire, conducono alle rotte migratorie dei Balcani e del Mediterraneo, ormai tristemente note, al
drammatico tema dei limiti (barriere che proteggono o costringono?) e a quello della poca memoria, che ci
rammenta il rischio concreto che l’emergenza sfoci, paradossalmente, nell’oblio.
Dalla sospensione del Notturno, dalle squillanti tinte del crepuscolo di Effimero, si distaccano tre grandi oli su
tela nei quali la natura vibra in un tratto rapido e mosso: Tutto scorre, Un momento di quiete, Sconfinato.
Ma la natura stessa pare cedere il primato a una presenza umana rarefatta, fantasmatica, nelle opere che
l’artista dedica a La rotta dei Balcani e ai dolorosi viaggi nel Mediterraneo. Nelle prime, gruppi di uomini e donne
in cammino si diradano e si allungano, fino a formare catene formicolanti e afone, delle quali non percepiamo
più se non l’andatura incessante, obbligata, verso possibili nuove speranze. Dal Mediterraneo, Mare Nostrum
trasudante fatica e morte – solcato, com’è, da pressoché quotidiani naufragi – l’artista giunge poi all’approdo
con Ancora, tela attraversata da una pittura veloce che, unita alla logica della struttura e al segno che, quasi per
contrasto, si fa via via illeggibile, si accentra nella drammatica diagonale in bianco data da una serie di corpi
giacenti a terra, pietosamente coperti da anonimi teli. A siglare l’immagine, scorre sottile la constatazione,
tracciata a matita, di un dramma ripetutosi ancora una volta, un’altra volta, un’altra ancora.
L’accennata geometria del dolore si ritrova ancora nel breve ciclo dedicato ai Limiti, nel quale nugoli di uomini
appaiono raggrupparsi e poi disperdersi entro mura imposte e barriere che sospendono lo scorrere della vita in
un immobile presente che s’incastra tra l’angoscia del “prima” e la perentoria incertezza del “dopo”.
La pittura è, per Martina Dalla Stella, movente primario, disciplina essenziale intrisa di forti istanze comunicative
e narrative: ritroviamo così, in chiusura, l’invito a mantenere salde le radici del ricordo e della testimonianza –
come impegno etico e sociale – nella piccola serie intitolata La poca memoria, tenuta insieme dal ricorrere di un
filo rosso che, dalle mani asciutte di una tessitrice, si dipana fino a divenire esso stesso barriera, taglio che
attraversa il campo dell’immagine e cinge nuove catene di donne e bambini, vicini gli uni agli altri come grani di
un rosario.
Il tema, in queste opere, si esplicita in forme di narrazione sintetica, riassunta, divenendo evidente nella ricerca
di un’espressività che media tra le coppie cromatiche utilizzate, nel contrasto tra il rosso del filo e le tonalità
attenuate – a tratti spente – che bloccano le figure in ambienti dall’apparenza gessosa e anonima. Questo
spazio, costruito da ampie pennellate veloci, definisce uno schermo calcinato o grigiastro, vuoto, quasi astratto,
nel quale vivono fluide sagome nere in movimento o molteplici presenze cromatiche ammassate, in attesa. Il
gesto della pennellata lascia che i segni delle sgocciolature attraversino come ferite il campo della figurazione,
significanti non solo nella drammaticità del segno stesso, ma anche nel valore simbolico del colore che
apportano. Segni che talora si fanno scrittura cesellata sul bianco, a conferma della necessità dell’artista di
superare la dimensione illustrativa della rappresentazione e arrivare a uno spazio tutto mentale, in cui coesistono
frammenti figurativi, gesto pittorico e parola.
L’asperità e la solitudine del ricordo tornano infine a strutturare le stanze desolate de La poca memoria n.2,
visione incongrua di un interno che manifesta, ormai privo di pareti di protezione, tutta la sua fragilità. Ma la
fragilità stessa – quella che ci racconta Martina Dalla Stella – diviene, in ognuna di queste tappe figurate, invito
all’accoglienza, alla condivisione partecipe, a quel “rimanere umani” che rischia di affievolirsi nell’assuefazione
al vortice d’informazioni, racconti e stimoli che riempiono ogni nostro istante.